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Diplomazia sportiva e soft power: il Mondiale per Club FIFA come piattaforma globale

Articolo di Carlo Rombolà

Cosa c’entra la diplomazia con lo sport, e con il calcio, in particolare? Tanto, soprattutto ai livelli più alti. Che i grandi eventi sportivi siano delle occasioni di incontro, relazioni e affari è cosa nota, ma tutto è sempre attenuto alla sfera individuale, riguardante il business e le relazioni private. Cosa succederebbe se un discorso del genere venisse applicato ai paesi della Terra, anziché soltanto agli uomini d’affari? In un mondo sempre più interconnesso, lo sport ha progressivamente assunto un ruolo centrale nelle dinamiche diplomatiche internazionali.

Il calcio, poi, ha una capacità unica di attraversare, avvicinandole, barriere culturali, linguistiche e politiche, divenendo uno strumento privilegiato di soft power, inteso come quella strategia che utilizza strumenti non coercitivi per influenzare positivamente le relazioni internazionali. In un simile contesto, il Mondiale per Club FIFA rappresenta non soltanto un evento sportivo di rilievo planetario, ma anche una piattaforma strategica per proiettare influenza, costruire relazioni e promuovere modelli di sviluppo.

È proprio ciò che accade, atteso che quando parliamo di diplomazia sportiva facciamo riferimento a una forma di interazione che utilizza lo sport come strumento per migliorare le relazioni internazionali e promuovere la comprensione reciproca tra paesi. Anzi, potremmo anche spingerci a dire che la diplomazia sportiva crea ponti e connessioni laddove quella tradizionale può incontrare ostacoli. Il soft power – concetto elaborato da Joseph Nye, politologo statunitense – descrive l’abilità di uno Stato (o attore non statale) di attrarre e influenzare, piuttosto che costringere. Ed è qui che il calcio agisce come veicolo di narrazione, simbolico ed emozionale, capace di generare consenso, reputazione e capitale relazionale.

Tradizionalmente un evento secondario rispetto alla Coppa del Mondo FIFA, il Mondiale per Club (nuovo nella sua struttura più inclusiva e, soprattutto, più ricca) riflette oggi non solo l’interesse commerciale e sportivo, ma anche una visione geopolitica: più squadre, più continenti rappresentati, maggiore impatto mediatico.

Stiamo parlando di un evento che si propone come una vetrina globale per club, federazioni e, naturalmente, Paese ospitante.

Ma se gli Stati Uniti non hanno certo bisogno di mostrare al mondo la loro capacità di organizzare grandi eventi, non è un segreto che avere le chiavi per organizzare una delle competizioni per club più ricche del mondo significhi rafforzare la propria influenza su scala globale, (soprattutto se questo significa farlo un anno prima della Coppa del Mondo per nazioni, che si svolgerà anch’essa in America del Nord).

Si pensi, ancora, alla capacità di:

attrarre investimenti;

incrementare il turismo;

– promuovere l’immagine nazionale;

– favorire scambi interculturali.

E v’è di più: il torneo stesso può diventare un laboratorio di diplomazia multilivello, dove club, istituzioni sportive, governi locali e aziende globali collaborano su piani paralleli.

Nel contesto della diplomazia sportiva, anche i club e gli atleti svolgono un ruolo rilevante:
i grandi club europei, sudamericani e – in misura sempre più importante – asiatici e africani, sono oggi brand globali che si rivolgono a pubblici ampi e trasversali.

Ai livelli più alti, i loro successi e i loro valori si riverberano ben oltre i confini sportivi.
Basti pensare a:

partnership internazionali;

tournée estive e invernali;

accademie giovanili aperte nei mercati emergenti.

Non sono proprio queste le migliori testimonianze di proiezione strategica? Per non parlare degli atleti, ormai piccoli ambasciatori – non solo del proprio club – ma anche di pace, inclusione e dialogo, concetti peraltro già presenti nella Carta Olimpica. Come si trasmette tutto ciò nei campi di calcio del Mondiale per Club?
Ciò che l’evento mette in scena è la competizione tra culture calcistiche diverse, favorendo l’incontro tra storie, identità e sensibilità, integrando una forma di diplomazia sportiva, non certo verbale, ma potentemente comunicativa. Il calcio organizzato a livello planetario, dunque, è destinato a spiegare i suoi effetti in un contesto ulteriore a quello puramente sportivo.
La sua espansione riflette non solo ambizioni economiche, ma anche interessi globali. Non è semplice fare delle riflessioni del genere in un momento storico di grande conflittualità, insanguinato da conflitti che fanno quasi perdere di senso qualunque giocosità sportiva.

Ma proprio per questo, a parere nostro, vale la pena impegnarsi sempre di più – ognuno al livello che occupa – per far sì che l’unico terreno di scontro tra le nazioni della Terra sia quello di un campo sportivo, come era nei sogni del Barone de Coubertin.