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Il panel “Is Football Really Prioritizing Players’ Mental Health?”, moderato da Riccardo Nasuti (Digital Manager SFS 25), ha posto al centro del dibattito la salute mentale degli atleti, un aspetto cruciale per qualsiasi sportivo e professionista. La conversazione tra il portiere della Juventus Mattia Perin e la sua psicologa personale, Nicoletta Romanazzi, ha offerto una prospettiva schietta sul lavoro interiore necessario per la performance, sottolineando come la resistenza culturale stia finalmente venendo meno.

La storia personale e la libertà dai condizionamenti

Mattia Perin ha condiviso la sua esperienza, rivelando di aver voluto smettere di giocare dopo i tanti infortuni subiti, un momento in cui aveva perso la passione per il gioco. La chiave di svolta è stata “avere un punto di vista differente e capire meglio sé stessi, qualcosa di fondamentale e utile per ritrovare l’equilibrio che consente di essere performante nello sport e nella vita”. Tutte le emozioni, anche quelle negative, possono fare la differenza, purché si sia in grado di accettare l’errore e trovare una soluzione.

Romanazzi ha confermato che la resistenza culturale è il nemico principale. “C’è ancora la vecchia mentalità, perché si pensa che essere in difficoltà mentalmente voglia dire essere deboli. In realtà è un controsenso: i problemi devono essere risolti da esperti”.

Il lavoro di coaching non ha un tempo stabilito, ma dipende dall’individuo e dagli obiettivi. L’obiettivo finale è imparare a entrare in stato di flow o trance agonistica, un livello di massima concentrazione che, come dimostra l’esempio di Marcel Jacobs, è frutto di un lavoro continuo. Perin ha testimoniato la sua evoluzione: “Prima, dopo una bella partita postavo sui social, e dopo una partita brutta no. Ora invece ho capito dopo il lavoro di coaching che i commenti non mi influenzano più. Oggi sono libero da condizionamenti e giudizi esterni.”

La sfida societaria e la prevenzione degli infortuni

Oggi è più facile che il singolo calciatore cerchi un mental coach, mentre da parte delle società “c’è ancora molta strada da fare”. Romanazzi ha evidenziato che il mental coaching non solo previene i problemi e l’infortunio stesso (che spesso ha radice mentale), ma aiuta anche a “gestire meglio la comunicazione con se stessi e con i propri compagni”. Le frizioni tra le persone, i litigi e gli allontanamenti creano disagi sociali e relazionali.

Perin si sente sostenuto dalla sua società: “La Juventus mette a disposizione Beppe Vercelli, psicologo del club, bravissimo, e psicologi seguono anche le giovanili.” Ha sottolineato l’importanza del supporto nei settori giovanili, dove molti ex compagni hanno vissuto difficoltà enormi: “Tutti nasciamo con un talento, ma il carattere lo realizza”.

L’appello finale di Romanazzi ai giovani è di imparare a tenere per sé il proprio potere personale, senza metterlo all’esterno. Perin ha concluso che la differenza può farla l’essere affamati di conoscenza, cultura, curiosità e di avere una prospettiva sempre differente.

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Il panel “Data Wars: Ownership, Ethics and Monetization in Football” ha riunito alcuni dei principali protagonisti dell’innovazione digitale nel calcio. Sul palco sono intervenuti Pierdamiano Tomagra, Head of Digital della Lega Serie A, Raffaele Cerchiaro, Managing Director di Jakala, Andrea Peron, Sales Leader di Adobe Experience Cloud, e Claudia Di Renzi, Head of Accounting, CRM & Loyalty della FIGC, con la moderazione della giornalista Giulia Piscina. Nel calcio moderno la partita decisiva si gioca ormai sui dati. Chi li possiede, infatti,

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